martedì 31 dicembre 2013

Taekwon-Do ITF Tul: come si sviluppa una tecnica





La forma tradizionale nel Taekwon-Do ITF è probabilmente la parte più difficile e complicata dell’arte marziale codificata dal Gen. Choi Hong Hi.
Nella forma vengono valutati:
  • Contenuto tecnico
  • Potenza
  • Equilibrio
  • Controllo del respiro
  • Ritmo
Ma per far comprendere appieno tutti questi aspetti è bene concentrare l’attenzione dell’allievo su tre elementi principali:
  1. Equilibrio
  2. Velocità
  3. Tempismo
L’unione di questi tre elementi permette di esprimere al meglio la potenza nel singolo movimento.
 

La difficoltà nel principiante, e molte volte nell’avanzato, è quella di avere il corpo in contrazione per effettuare il movimento.
Questo ha due significati:
  1. L’atleta non è ancora in possesso della tecnica.
  2. L’atleta non conosce il movimento per arrivare alla tecnica e quindi non sa fondere assieme i tre elementi principali.
La tecnica nella forma dovrebbe avere una massima esplosività alla fine, nell’impatto, ma nel movimento iniziale il corpo deve essere rilassato.
Contrarre in modo “anormale” il corpo vuol dire perdere nei tre principi prima elencati:
  1. Equilibrio
  2. Velocità
  3. Tempismo
E quindi il colpo va a perdere di potenza.

Che cosa si deve far comprendere all’allievo:
  • La corretta postura del corpo nelle posizioni.
  • Corretta traiettoria delle tecniche in andata
  • Contrazione nella parte finale della tecnica.
  • Il centro di gravità e come tutto può ruotare e “giocare” attorno a questo “perno”.
Un piccolo errore nella traiettoria, o nella postura, o nella contrazione, ecc. va ad intaccare anche gli altri principi.


Equilibrio
Come si deve spostare il corpo mantenendo una corretta postura è una delle cose più difficili da apprendere.
Si pensi a quando si vede un bambino che inizia a camminare, i passi saranno incerti perché non conoscendo il proprio corpo andrà per tentativi, la setta cosa è per l’allievo con la differenza che l’allievo sarà guidato dall’insegnante non solamente a livello visivo (vedrà la tecnica) ma lo ascolterà (informazioni verbali) fisico (sentirà il corpo muoversi nello spazio.
L’insegnante dovrà fargli capire, come detto precedentemente, il centro di gravità e come tutto può ruotare e “giocare” attorno a questo “perno”.


Velocità
Il movimento fra una tecnica e un’altra è di 1,2 secondi ma questa è relativa solamente alla parte del movimento corporeo e quindi lo spostamento nello spazio.
Si deve fare notare la differenza fra quello che è il movimento e la tecnica vera e propria che è la parata o l’attacco.
Qui si deve vedere la differenza fra una tecnica maggiore (spostamento del corpo) una tecnica precisa (movimento dell’arto).
Questa, agli occhi di un esperto può sembrare una cosa semplice ma non lo è affatto, in un movimento “complesso” formato da movimento inferiore e superiore vi sono:
  • spostamenti (equilibrio: da statico a dinamico o addirittura in volo)
  • coordinazioni motorie specifiche
  • capacità di mantenere o cambiare ritmo
  • capacità di accoppiamento e combinazione dei movimenti
  • ecc.

Tempismo
Per tempismo si definisce il corretto arrivo di gambe e braccia nella singola tecnica dinamica:
  1. Se le braccia arrivano con la stessa velocità delle gambe la tecnica risulta: a pressione e quindi priva di potenza, uno sbilanciamento nella parte superiore del corpo “stesso tempo” (questo si riscontra soprattutto nei nuovi studenti).
  2. Se le braccia arrivano prima delle gambe la tecnica risulta: scoordinata, fuori equilibrio con uno sbilanciamento nella parte superiore del corpo “anticipo del movimento”.
  3. Se le braccia arrivano dopo che il piede tocca terra la tecnica risulta: in ritardo nella movenza e quindi tutta la tecnica difensiva o offensiva decade “ritardo del movimento”.
Il movimento corretto deve partire da terra, dalla base creata dai piedi e si deve trasmettere alle braccia che effettueranno la tecnica nello stesso momento di arrivo del piede in movimento.

A tutto questo vanno inseriti poi:
  • il controllo del respiro
  • il contenuto tecnico

L’insegnante deve avere una grande fantasia e soprattutto una grande voglia di imparare e sperimentare, perché più informazioni vengono apprese all’allievo più questi potrà gestire lo stress della gara, dell’esame o del confronto con se stesso perché conosce perfettamente la materia.

lunedì 30 dicembre 2013

Il bullismo: false credenze e verità di una piaga che è sempre esistita ma che si può combattere.



  

… allora, com’è andata a scuola?” disse la mamma arruffando i capelli al figlio.
Così così…” risponde il bambino volgendo lo sguardo dall’altra parte per non guardarla negli occhi.
Questa può essere una delle tante situazioni nella quale un genitore si è trovato, nel vedere il proprio bambino eludere una domanda che gli faceva del male.
Il bullismo è una piaga vecchia come il mondo è una situazione che è sempre esistita ma che, solo in tempi moderni, è stata additata come una piaga.
Fra bambini esistono scherzi, esistono baruffe ma viste l’età diventano delle azioni temporanee che trovano quello che trovano, cioè l’attimo; ma quando l’azione diventa continuativa, persistente e quindi dura nel tempo diventa un atto di aggressione che viene chiamato bullismo.
Il bullismo, comunemente, è costruito su tre dimensioni fondamentali:

  1. L’intenzionalità che guida i comportamenti del bullo;
  2. La persistenza nel tempo, vale a dire la ripetizione continuata di episodi di prepotenza, che raramente costituiscono eventi isolati;
  3. La dimensione del potere, che si manifesta, per esempio, nello squilibrio di forza tra il bullo e la sua vittima.

I bulli agiscono pubblicamente con comportamenti aggressivi nel tentativo di conquistare una posizione di dominanza nel gruppo, perciò per aumentare la probabilità di successo, di queste manifestazioni pubbliche di potere, essi scelgono come vittime i coetanei più deboli fisicamente o psicologicamente.
Il bullismo può essere diviso in due diverse tipologie che sono poi ulteriormente divise:

  1. Bullismo diretto
  2. Bullismo indiretto, o anche relazionale

Il bullismo diretto è quando il bullo procura un danno e crea sofferenza alla vittima direttamente: picchiandola, spingendola, toccandola (aggressione/bullismo fisico); oppure prendendola in giro, ridicolizzandola o minacciandola (aggressione/bullismo verbale).
Il bullismo indiretto (o anche bullismo relazionale) si basa su strategie di controllo sociale: indurre i compagni ad attaccare la vittima (anziché farlo in prima persona); oppure nel manipolare le relazioni sociali per isolare pian piano la vittima dal resto del gruppo; oppure sminuendo il valore come persona, colpendole l’autostima e cercando di bloccare le sue relazioni di amicizia (aggressione/bullismo psicologico).
E, purtroppo, in questa nostra era tecnologicamente sempre in evoluzione, si è fatto ormai strada anche il cyber bullismo o anche bullismo elettronico. Questa aggressione consiste nell’uso di internet, cellulare e di tutte quello che può essere usato per inviare messaggi o immagini minacciosi, denigratori e calunniosi.
Perché il cyber bullismo? Perché garantisce spesso l’assoluto anonimato al bullo, consentendogli di essere più ingiurioso e offensivo, con una probabilità più bassa di essere scoperto e punito rispetto alle forme più tradizionali di bullismo visivo. Proprio questa forma di anonimato lo rende ancora peggiore del bullismo “tradizionale” in quanto, non essendo possibile sapere né l’identità né il numero di persone che stanno dietro queste “aggressioni” (i messaggi), la paura provocata nella vittima è ancora maggiore. Di conseguenza anche il livello di ansia suscitato nella vittima e il suo desiderio di evitare la scuola e le interazioni con i ragazzi possono essere particolarmente forti. In oltre, la possibilità di diffondere la “documentazione” delle prepotenze sulla rete o direttamente tramite cellulare consente al bullo di allargare all’infinito il suo pubblico di spettatori.
Un grande ruolo nel bloccare l’aggressione l’ha tutta la società partendo dal genitore sino ad arrivare a chi gli crea l’insegnamento e quindi l’educazione.
Per questo è giusto comprendere e capire i falsi miti che si sono creati negli anni su questo particolare fenomeno:

  • Le prepotenze sono giochi un po’ turbolenti che non fanno male a nessuno.
  • Il bullismo fa parte del “normale” processo di crescita del ragazzo.
  • Il bullismo “passa” da solo con il tempo.
  • A volte sono le vittime/bambini/ragazzi stesse a “provocare” il bullo
  • Le vittime/bambini/ragazzi devono imparare a “cavarsela” da soli.
  • Il bullismo serve a “farsi le ossa” per diventare grandi.
  • Gli adulti non dovrebbero incoraggiare la denuncia delle prepotenze, perché “fare la spia” è sbagliato.
  • I bulli provengono da famiglie problematiche e una delle frasi più ricorrenti è “mio/a figlio/a non potrebbe mai fare una cosa del genere; non potrebbe mai essere un bullo/a!”
  • Ecc.

Quante volte sono state dette o sentite e quante volte non si è pensato veramente a quello che stava succedendo?
Pensiamo a che cosa succede adesso nella vittima e cioè nel nostro bambino/ragazzo:

  • Problemi scolastici: rifiuto della scuola, scarsa concentrazione, abbandono, ecc.
  • Problemi di internalizzazione: ansia, depressione, bassa autostima, ecc.
  • Problemi di esternalizzazione. Aggressività.
  • Isolamento ed ansia sociale
  • Ritiro dalle relazioni
  • Disturbi psicosomatici: disturbi del sonno, mal di stomaco, stanchezza cronica, urinazione notturna, mal di testa, ecc.

Per arrivare all’estremo:

  • Ideazione suicidaria.
  • Tentativi di suicidio
  • Suicidio

Nessuno vorrebbe che il proprio figlio provasse questo ecco il perché vi deve essere un forte dialogo fra genitore, o istituzione, e bambino/ragazzo perché questo è il primo passo per delimitare questa malattia chiamata bullismo.
Il percorso, è una strada in salita che porta ad un’unione fra il genitore e l’istituzione in cui si dovrebbe collaborare e non scontrarsi.


Segnali di una possibile vittima
L’unico modo certo per capire se un bambino è vittima di un bullo è quando racconta apertamente che cosa gli sta succedendo, vi sono però alcuni segni che possono far risuonare un campanello d’allarme nella mente nel genitore:

  • Paura di andare a scuola con assenze spesso ingiustificate.
  • Desiderio di cambiare scuola o mezzo di trasporto (se scuolabus) per arrivarci.
  • Evitamento di specifiche lezioni o attività (palestra, piscina, gruppo di lavoro, ecc.).
  • Richieste di soldi, o altri beni, frequenti e ingiustificate.
  • Danni fisici che il bambino non riesce a spiegare.
  • Oggetti personali (vestiti, zaino, penne, ecc.) frequentemente persi, rovinati o rotti.
  • Frequenti mal di testa, di stomaco o altri malesseri (soprattutto al mattino) di cui non si comprende l’origine.
  • Bassa autostima, umore spesso negativo, frequenti pianti, scoppi di rabbia improvvisa.
  • Raccontare di non aver amici, rifiutarsi di raccontare ciò che succede a scuola.
  • Difficoltà a dormire, frequenti incubi notturni, urinazione notturna, perdita di appetito, ecc.

Processo decisionale




Il processo decisionale è la parte fondamentale in qualsiasi scontro/incontro.

Tutto quello appreso in palestra, con l’amico di allenamento con il compagno, ecc. cambia totalmente quando si approccia a quella che è la realtà del quadrato o addirittura in uno scontro in strada.
Troppe volte viene detto:
  • se ti capita questo fai così
  • se ti capita così devi fare questo
  • ecc.
Ma, purtroppo, non è così facile passare dalla teoria all’azione.
Il cervello cambia il modo di pensare.
Il corpo reagisce in maniera completamente inaspettata, battito cardiaco, visione a tunnel, ovatta mento uditivo.
Nel corpo inizierà un’esplosione chimica.

Per questo è importante conoscere le varie fasi del processo decisionale.

  1. Osservare: è il primo senso che viene messo in atto, che cosa sta accadendo?
  2. Scelta della tecnica (Orientamento): dal primo impulso visivo si avrà un bagaglio tecnico in cui pescare la tecnica in base alla situazione, alla propria aggressività, in base alla propria esperienza.
  3. Decisione: in base alla tecnica si dovrà prendere la decisione difensiva/offensiva appropriata.
  4. Azione: dare inizio alla tecnica

Quello elencato può sembrare processo lungo ma è quello che alla fine viene insegnato/appreso da chiunque.
La differenza sta ne saper eliminare le due fasi centrali, scelta della tecnica e decisione, in modo che la tecnica diventi immediata ed automatica.
Il compito dell’insegnante è sviluppare una grande possibilità di tecniche in modo che ogni allievo pian piano riesca a scoprire quella che più si addice alla sua persona.
Non è possibile avere per una tecnica diverse tecniche però, perché altrimenti più opzioni ci sono e più tempo si impiegherà a sceglierne una.

Per comprendere questo è importante capire che chi attacca ha già seguito tutto il suo processo decisionale e quindi è già arrivato all’azione.
Chi difende, perciò, deve agire il più velocemente possibile.

Qual è il compito di un insegnante perciò?

  • Sviluppare più scenari perché l’allievo tende a bloccarsi davanti a nuovi stimoli.
  • L’allievo deve imparare a leggere l’avversario anche parzialmente.
  • L’allievo che penserà al contrattacco su una tecnica specifica si troverà in difficoltà se l’azione va diversamente da come da lui previsto.
  • Ogni nuova azione che l’allievo sviluppa è dall’altra parte una nuova osservazione perciò un nuovo processo decisionale da parte dell’aggressore.
  • Non si avranno mai tutte le risposte a tutti gli interrogativi, ne che cosa succederà perciò se si aspettano troppe informazioni c’è la possibilità di essere colpiti.